ITALIA RECEPISCE LA DIRETTIVA 2010/64/UE, PRO E CONTRO

Siracusa 24 marzo 2014 – Flavia Caciagli

Il 28 febbraio u.s. l’Italia ha recepito, sebbene con ritardo avvalendosi della legge delega EU conferita al Governo con legge 6 agosto 2013, n.96, la Direttiva 2010/64/UE sul “Diritto alla Traduzione e Interpretazione nei Procedimenti Penali”. Tale recepimento “rappresenta un ulteriore ed importante passo in avanti nel percorso di rafforzamento delle garanzie processuali degli indagati ed imputati, secondo la c.d. tabella di marcia di Stoccolma del 2009, fondamentale per facilitare tra gli Stati membri dell’Unione la cooperazione giudiziaria ed il riconoscimento reciproco delle sentenze nelle materie penali aventi dimensione sovranazionale,” come testualmente riferisce la relazione del schema di decreto del governo. Diversi sono i cambiamenti e le riforme apportate in quanto la suddetta riforma incide “profondamente sul ruolo attribuito all’interprete e al traduttore nel processo penale, affiancando all’inquadramento tradizionale pubblicistico che li qualifica esclusivamente come periti in ausilio dell’autorità giudiziaria, un approccio di tipo soggettivistico che li intende anche come tecnici della difesa a tutela dei diritti fondamentali della persona accusata”  equiparando traduttori e interpreti agli altri esperti  elencati  tra le categorie indicate all’articolo 67 disp. Att. C.p.p.  Inoltre, un grande passo avanti è stato compiuto nell’annoverare  “ le associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni non regolamentate” al comma 1 dell’articolo 68  del D.lg 28 luglio 1989, n. 271.

Tra le modifiche apportate vi è la rielaborazione dell’art. 143 del c.p.p. riguardo la nomina dell’interprete, ora titolato “Diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali”.  Non entro nel merito dei contenuti giuridici non essendo un giurista pertanto lascio questo aspetto a chi di dovere.  Tutto ciò detto si potrebbe sostanzialmente accettare le modifiche elaborate se non fosse per delle incongruenze che considero di un certo rilievo.

L’annoverare le associazioni categoria rappresentative delle professioni non regolamentate tra i rappresentanti degli ordini , albi e collegi è utile qualora il richiedente l’iscrizione agli albi dei CTU dei tribunali sia un soggetto già appartenente all’associazione di riferimento (v. Art. 2 comma 7 delle legge n.4 del 2013), poiché tali associazioni saranno in grado di  stabilire e valorizzare le competenze dei propri associati  attraverso la valutazione dei requisiti minimi necessari  definiti dalle apposite commissioni, e i quali avranno positivamente superato un esame di ammissione all’associazione dimostrando in tal modo che il soggetto è idoneo ed è in possesso dei requisiti necessari a far parte di una categoria di professionisti qualificati.

Diversamente, un soggetto non appartenente ad alcuna delle associazioni di categoria non potrà essere in alcun modo valutato se non è previamente sottoposto ad una prova di valutazione che possa attestare le sue reali competenze. Nell’ipotesi di una richiesta di iscrizione agli albi dei tribunali del soggetto NON appartenente ad alcuna associazione comporterebbe un obbligo di previa richiesta di iscrizione all’associazione di categoria, valutazione delle competenze e successivo superamento della prova di ammissione all’associazione, il che sarebbe, non soltanto una incongruenza  ma in netto contrasto con la legge 4 del 2013 sulle professioni non regolamentate la quale si fonda sul libero esercizio della professione, libera appartenenza ad una associazione di categoria e la volontarietà del processo di certificazione che attesterebbe il livello di qualità ma che è rimesso alla libera volontà dell’individuo.

Allo stesso modo, e a mio avvisto aspetto non trascurabile, è che nonostante le varie Commissioni della Camera abbiano approvato il testo con puntuali osservazioni, notiamo in particolare che il suggerimento di modifica dell’articolo 146 del c.p.p. “ nel senso di prevedere che: «l’autorità procedente nomina l’interprete o il traduttore scegliendolo tra quelli iscritti negli appositi albi e, solo in caso di indisponibilità di un esperto per la relativa lingua, tra persone fornite di pericolare competenza nell’interpretazione o traduzione giudiziaria»,  non è stato accolto “per ragioni sistematiche, in quanto la formulazione è in linea con quanto dispone l’articolo 226 c.p.p. in tema di nomina del perito”. Il suggerimento si fondava sulla sussistenza di “elenchi” diversi rispetto a quelli degli albi dei tribunali che spesso e volentieri sono costituiti da nominativi di soggetti che semplicemente lasciano il proprio biglietto da visita o cv presso le cancellerie dei tribunali, oppure sono nominativi a vario modo acquisiti dalle forze dell’ordine e che non sempre risultano avere i requisiti necessari a svolgere degli incarichi di grande delicatezza e responsabilità.

In sostanza … non è cambiato nulla. Continueranno a sussistere quegli elenchi di soggetti di cui l’autorità procedente (e non solo, ma anche la P.G.) ha facoltà di nominare al di fuori degli appositi albi il cui criterio di selezione  non è il medesimo di quello richiesto alle associazioni di categoria.

 

http://www.archiviopenale.it/apw/wp-content/uploads/2014/03/Decreto-legislativo-4-marzo-2014-n.-32-Diritto-alla-interpretazione.pdf